Divorzio
Che differenza c’è tra l’essere separati e l’essere divorziati?
Con la separazione legale dei coniugi, che sia di tipo consensuale o giudiziale, vengono meno i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, ma non il vincolo coniugale. Con la pronuncia di divorzio, invece, viene dichiarato lo scioglimento del matrimonio e dei suoi effetti civili. Inoltre, la separazione ha sempre carattere di transitorietà, mentre la sentenza di divorzio sarà definitiva.
Quali sono le condizioni per poter chiedere il divorzio?
Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi quando dopo la celebrazione del matrimonio l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza, all’ergastolo, a qualsiasi pena detentiva o per omicidio volontario; è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale (le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale); l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio; il matrimonio non è stato consumato; è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della L. 14.4.1982, n. 164.
Ha senso chiedere un divorzio consensuale?
E’ inusuale parlare di divorzio “consensuale” in quanto lo scioglimento del vincolo matrimoniale viene sempre deliberato con sentenza da parte di un giudice e, a tal fine, è insignificante l’eventuale accordo dei coniugi. Tuttavia, il ricorso per lo scioglimento del vincolo matrimoniale può anche essere avanzato congiuntamente dai coniugi e se le condizioni proposte dai coniugi sono ritenute conformi ai diritti degli stessi e della prole, il Tribunale si limita a recepirle nella sentenza di divorzio.
Quando deve essere corrisposto l’assegno divorzile?
E’ la sentenza del giudice istruttorio che stabilisce l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente, a favore dell’altro,un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Su accordo delle parti. Su accordo delle parti, la corresponsione può avvenire in via periodica o in un’unica soluzione (si parla in questo caso di assegno divorzile una tantum), a decorrere dal momento di presentazione della domanda presso il Tribunale. Se la corresponsione avviene una tantum, il coniuge beneficiario non avrà più nulla a pretendere, in futuro, dalla controparte.
L’ex coniuge può richiedere una parte del trattamento di fine rapporto dell’ex marito?
L’art. 12-bis della L.898/70 stabilisce che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno di mantenimento divorzile, ha diritto a una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Non può richiedersi la quota di TFR se la corresponsione dell’assegno di mantenimento in sede di divorzio è stata concordata in unica soluzione.
L’assegno divorzile e quello di separazione vengono quantificati nello stesso modo?
No, l’assegno divorzile e quello di separazione vengono quantificati in modo diverso, poiché fanno riferimento a parametri e presupposti altrettanto differenti. Mentre per l’assegno di separazione l’art. 156 c.c. presuppone l’inadeguatezza dei redditi propri del richiedente e, per quanto concerne l’entità della somministrazione, impone al giudice una valutazione circa il reddito dell’obbligato e le altre circostanze, per la determinazione dell’assegno divorzile il giudice deve tenere conto anche dei seguenti fattori: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi. Il tutto da valutarsi alla luce della durata del matrimonio ovvero a far data dalla celebrazione delle nozze fino alla pronuncia di divorzio.
Esistono delle cifre specifiche e predeterminate cui il giudice deve attenersi per la quantificazione dell’assegno divorzile?
In normativa non è prevista alcuna cifra predeterminata da corrispondere tramite assegno divorzile. E’ il giudice che di volta in volta valuta, in relazione al caso specifico, i provvedimenti che è più opportuno prendere.
Il cognome dell’ex marito può essere mantenuto dopo il divorzio?
In base all’ex art. 5, commi 2, 3 e 4, della Legge n. 898/1970, la donna divorziata può, in alcune circostanze, essere autorizzata dal giudice a seguitare a utilizzare il cognome dell’ex coniuge, quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela. E’ il caso, ad esempio, in cui l’ex marito è un professionista o un artista affermato e ormai anche l’ex moglie è socialmente identificata con quel cognome.
Ciò non toglie che, per motivi di particolare gravità, o su istanza di una delle parti, la concessione dell’uso del cognome all’ex coniuge può sempre essere ritirata dal giudice, con una successiva sentenza contraria. Si può immaginare, in questo caso, l’ipotesi di un’ex moglie che ridicolizzi il cognome maritale, tenendo una condotta di vita non consona alla posizione e al prestigio sociale dell’ex coniuge, di fatto danneggiando così lui, se non perfino anche gli eventuali figli, nati dalla loro precedente unione.
La mia ex moglie può convivere con il nuovo compagno nella casa coniugale assegnatale di mia proprietà
Il Codice civile, all’art. 155 quater, prevede le ipotesi in cui l’assegnazione della casa coniugale, al genitore affidatario della prole, possa essere revocata. Tra queste vi è il caso in cui l’ex coniuge conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Tale rigida norma, però, è stata reinterpretata dalla Corte di Cassazione alla luce dell’evoluzione della società e dei costumi. Con la sentenza n. 23786 del 2004, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che la parte assegnataria della casa in virtù dell’affido dei figli, possa convivere nell’abitazione, un tempo “casa coniugale”, con il nuovo compagno, purchè tale convivenza non sia pregiudizievole per l’interesse morale e materiale dei minori. Alla luce della giurisprudenza sopra citata, pertanto, non vi è più l’automaticità della revoca in caso di nuova convivenza.
Nel momento in cui il giudice annulla, con sentenza, l’assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario per sopravvenute modifiche della situazione socioeconomica del figlio (che da non sufficiente è diventato autosufficiente), quali sono le azioni più brevi da compiere per rientrare in possesso del proprio bene se la controparte non vuole abbandonare la casa?
E’ necessario compiere un atto di precetto per la concessione di beni immobili ex art. 605 c.p.c., quando si è già muniti di una sentenza cui verrà redatto un provvedimento esecutivo. Il precetto obbliga chi occupa l’immobile di rilasciarlo libero entro dieci giorni dalla notifica. Se nonostante l’intimazione con l’atto di precetto, l’occupante non lascia libera la casa, si dovrà effettuare, ai sensi dell’art. 608 c.p.c., l’esecuzione vera e propria. Con questo si intende l’accesso da parte dell’Ufficiale Giudiziario che, previa notifica all’occupante del giorno e dell’ora in cui procederà, munito di titolo esecutivo e di precetto, si porterà materialmente sul luogo per consentire alla parte che ne ha diritto di entrare in possesso dell’immobile.
Per variare l’assegno di mantenimento del figlio che cosa bisogna fare se si è già divorziati?
Se si tratta di un cambiamento migliorativo delle condizioni di separazione o divorzio, basta una scrittura privata tra i coniugi.
Se invece l’assegno viene ridotto bisogna utilizzare lo stesso procedimento seguito per l’ottenimento del divorzio, e quindi chiedere al Tribunale una modifica delle condizioni di divorzio. In quest’ultimo caso, infatti non basta l’accordo tra i coniugi per rendere l’intesa opponibile tra gli stessi, ma è necessario che il giudice autorizzi
tale modifica in peggio.
Quando si può chiedere l’addebito in caso di tradimento del coniuge?
La cosiddetta separazione con addebito per scoperto tradimento implica che quest’ultimo si sia verificato quando la crisi coniugale non è ancora conclamata ovvero consolidata nel tempo. Se infatti l’adulterio si verifica quando i coniugi da mesi litigano, non hanno rapporti, ecco che la relazione extraconiugale non costituisce motivo di addebito. In altre parole il tradimento deve essere la causa e non la conseguenza della fine del matrimonio affinchè possa configurarsi l’addebito nell’ambito della disciplina della separazione.
In caso di separazione è obbligatorio, per il coniuge che abbandona, a seguito di sentenza giudiziale, la casa coniugale, trasferire la residenza altrove?
Non è obbligatorio, ma consigliabile. Basti pensare ai benefici fiscali della prima casa. Nulla osta però che a seguito di una separazione, la residenza di entrambi i coniugi rimanga sempre presso la casa coniugale e ciò a condizione che il coniuge assegnatario della stessa sia al contempo consenziente. In altri termini, i coniugi potranno divorziare anche se in quel momento hanno ancora la residenza presso la casa coniugale. Chi “comanda” è il coniuge cui viene assegnata la casa che, se contrario al mantenimento della residenza, potrà fare una segnalazione al Comune affinchè l’altro coniuge venga invitato a eleggere un nuovo luogo di residenza.
In difetto nulla accadrà né da un punto di vista civile né da quello amministrativo.
Il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità?
Il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità solo quando gli è stato riconosciuto un assegno divorzile, ossia quando percepisce una somma ogni mese dall’altro coniuge. In mancanza non si ha diritto alla pensione di reversibilità. In caso di seconda moglie, costei avrà lo stesso diritto della prima mogie, e dunque dovranno ripartirsi la pensione di reversibilità secondo tutta una serie di criteri che verranno vagliati, quali in particolare quello che tiene conto della durata dei rispettivi matrimoni.
Voglio procedere con divorzio in quanto devo risposarmi tra due mesi. Se siamo d’accordo sulle condizioni di divorzio, oggi è possibile?
Oggi è possibile firmare il divorzi, ottenere l’autorizzazione in massimo 10-20 giorni da parte del Tribunale e avere poi la registrazione in Comune in 7-15 giorni. Quindi in trenta giorni circa dalle firme si ottiene il divorzio già annotato in Comune, condizione per procedere con le pubblicazioni e poi al nuovo matrimonio. Se seguite la procedura tradizionale, il tempo sarà almeno di sei mesi, a volte anche un anno, in quanto la procedura di divorzio seguirà le normali fasi del processo ordinario. Con la negoziazione assistita, invece, o la richiesta davanti al sindaco, si risolve tutto in un mese circa in quanto il giudice mette solo una firma sulla separazione o divorzio, poi al resto ci pensano gli avvocati.
Se il marito non corrisponde l’assegno di mantenimento, che cosa può fare la moglie?
Esistono due vie. La prima è quella civile che consiste nel procedere con il pignoramento dello stipendio o dei conti correnti, onde procedere al recupero forzoso degli arretrati non versati così come previsti in sede di separazione o divorzio. In tal caso basterà copia autentica della separazione o del divorzio e un’intimazione a pagare entro dieci giorni da parte di un avvocato. Dopodichè sarà possibile procedere al blocco dei conti correnti del coniuge inadempiente o con le trattenute (da un quinto a metà) sullo stipendio. Non solo, ma la moglie potrà altresì denunciare il marito per omessa corresponsione degli alimenti, il che significa l’avvio di un procedimento penale con verosimile condanna del marito a pena detentiva e pena pecuniaria, oltre che compromissione della sua fedina penale.
Il padre disoccupato è tenuto a concorrere al mantenimento dei figlio?
Nonostante la difficile situazione economica anche il padre disoccupato deve dare dei soldi alla madre per il mantenimento del figlio, attesa l’intervenuta separazione. Non basta lo stato di disoccupazione a escludere tale obbligo. I giudici si appellano alla capacità lavorativa del genitore che seppure disoccupato non lo esonera dal mettere a disposizione del figlio almeno 100/150/200 euro al mese. Al limite se questo padre non riuscirà a procurarsi tale somma facendo lavori saltuari, per legge sarà tenuto a chiederli ai suoi prossimi congiunti, ovvero ai genitori o ai fratelli che dovranno provvedervi.
Stiamo divorziando, il mio ex coniuge ha diritto al mio TFR? In che misura?
La quota di TFR è dovuta anche al coniuge divorziato, purchè siano soddisfatti due requisiti: percepire già dall’ex lavoratore un assegno divorzile a cadenza periodica e non essere convolato a nuove nozze. La parte di TFR che gli spetta corrisponde al 40% del TFR, rapportato al periodo di tempo in cui il rapporto di lavoro e il matrimonio, comprensivo anche della separazione legale, hanno coinciso.
Quando ci si separa in caso di convivenze, a chi va la casa se non ci sono figli? E quando ci sono figli?
Il diritto ad avere la casa coniugale nel caso di separazione da convivenze non esiste né viene previsto dalla normativa. Colui che è il proprietario della casa, pertanto, può richiedere l’allontanamento dell’ex partner. Quest’ultima eventualità è possibile, tuttavia, quando ne ricorrono i presupposti, ovvero che il convivente non proprietario usucapisca la titolarità del diritto reale di abitazione. Qualora dovessero esserci figli, invece, la disciplina in tema di divorzio e separazione viene estesa anche alle cosiddette famiglie di fatto, come previsto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 166/1998. A tal riguardo, a colui al quale sono affidati i figli, dovrà essere affidato anche il diritto di abitazione nella casa familiare, laddove quest’ultima sia di proprietà dell’altro partner. In questo modo si è voluto garantire una maggiore tutela alla prole.
In caso di morte di uno dei due partner, l’altro è automaticamente erede?
La legge non prevede alcun diritto di successione tra conviventi. Ciò comunque non vieta che il partner, per via testamentaria, possa permettere al partner di godere della propria eredità. Se infatti non vi sono eredi legittimari, il testatore potrà disporre di tutto il patrimonio, senza alcuna limitazione. Se però esistono degli eredi legittimari, il testatore potrà disporre liberamente soltanto di una parte del proprio patrimonio e non potrà ledere la quota ereditaria spettante per legge a questi soggetti.
Esiste l’obbligo di mantenere i figli per genitori non coniugati?
Sì, ai sensi dell’art. 337 ter c.c., ciascun genitore deve provvedere alla cura e al mantenimento dei figli, ciascuno in relazione proporzionale al proprio reddito.
I conviventi hanno diritto alla pensione di reversibilità?
Stando alla legge, non hanno diritto. Fanno eccezione i parlamentari nazionali ed europei, che in questi casi possono godere della pensione di reversibilità anche in caso di convivenza e mancanza di vincolo coniugale.
Qual è il regime giuridico della casa familiare locata durante la convivenza?
A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 404/1988) è stato riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione non solo in caso di morte del compagno conduttore dell’immobile, ma anche quando questo si sia allontanato dall’abitazione per cessazione del rapporto di convivenza, in presenza di prole naturale.
Il convivente ha diritto all’assegno di mantenimento?
In merito ai rapporti patrimoniali tra conviventi, sia dottrina che giurisprudenza sono concordi nel ritenere che, stante la assoluta volontarietà caratterizzante la convivenza more uxorio, nessun obbligo di contribuzione a carico dei conviventi possa essere configurabile, in mancanza di un’espressa previsione di legge. Ciò comporta l’insussistenza di alcun diritto al mantenimento o agli alimenti sia durante la convivenza sia a seguito della sua cessazione. Solo nel caso di prole, a seguito della cessazione della convivenza, il convivente affidatario della stessa potrà richiedere un assegno per il mantenimento a favore del figlio.
Qual è il regime degli acquisti compiuti durante la convivenza?
Non esiste un regime di comunione legale tra conviventi. Chi ha compiuto l’acquisto è proprietario del bene, salvo la possibilità per il compagno di proporre azione di indebito arricchimento, qualora dimostri che nell’acquisto è compresa una propria partecipazione materiale o morale.
In caso di impresa familiare il convivente ha diritto ad una retribuzione?
Una volta era esclusa la remunerazione del familiare per la prestazione resa nell’impresa familiare in ragione di una presunzione di gratuità che nasceva dal vincolo affettivo. Successivamente, l’introduzione dell’art. 230 bis c.c. ha eliminato il principio di gratuità. Ma l’articolo suddetto può essere utilizzato a favore del convivente solo se sussiste la prova di un preesistente rapporto di lavoro e la prova del carattere di continuità della prestazione eseguita dallo stesso.
Cos’è il contratto o patto di convivenza?
Non sussistendo una regolamentazione ordinaria generale, né speciale, da applicare alla famiglia di fatto, l’unico modo per ottenere una tutela, ad oggi, è quello di autoregolamentarsi mediante la stipulazione di patti, diretti a disciplinare taluni aspetti di natura patrimoniale al fine di evitare conflitti al momento della cessazione del rapporto e in modo da garantire i diritti successori anche al partner. Gli accordi possono avere la forma di scrittura privata o possono essere redatti dal notaio. Tali accordi potranno disciplinare in particolare: i rapporti patrimoniali tra conviventi, la costituzione di un fondo comune per le spese effettuate nell’interesse del nucleo familiare; il versamento di una somma di denaro in caso di rottura del mènage; l’assegnazione dell’abitazione familiare.
Violenza di genere:
la separazione dall’uomo violento
Di seguito verrà trattata ampiamente la tematica della violenza di genere, cercando soprattutto di tracciare un disegno esaustivo, da un punto di vista personologico e comportamentale, dell’uomo violento, ovvero di quella persona che perpetra violenze e maltrattamenti nei confronti della partner. Per riuscire in questo intento, si farà più volte rimando al testo di Lundy Bancroft che, nel libro Uomini che maltrattano le donne, ha già approfondito l’argomento in maniera egregia.
Successivamente alla descrizione delle varie questioni inerenti la violenza di genere, tale tematica verrà messa in relazione con quella della separazione. Lo scopo sarà quello di rispondere alla seguente domanda: come separarsi da un uomo violento?
4.1 La violenza sulle donne: panoramica
Le definizioni “violenza contro le donne” e “violenza di genere” si riferiscono a una grande gamma di abusi/violenze/maltrattamenti commessi sulle donne che, come sostenuto dal Consiglio d’Europa nel 1997, traggono origine dalle disparità di genere e dalla storica differenza di potere che da sempre è esistita tra uomini e donne in ogni tipo di società, seppur a vari livelli.
E’ nel 1996 che, in linea generale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sancito la seguente definizione di violenza:
<< l’uso intenzionale della forza fisica o del potere, o la minaccia di tale uso, rivolto contro se stessi o contro un’altra persona che produca o sia molto probabile che possa produrre lesioni fisiche, morte, danni psicologici, danni allo sviluppo, privazioni>>.
In tutte le sue molteplici manifestazioni, la violenza è quindi una forma di esercizio di potere che si esplica attraverso l’uso della forza (sia essa fisica, psicologica, economica o politica) e implica l’esistenza di un “sopra” e di un “sotto” , che adottano abitualmente la forma di ruoli complementari (padre-figlio, padrone-operaio, uomo-donna…). In sintesi, la condotta violenta è intesa come un uso della forza prevaricante, messa in atto per risolvere conflitti interpersonali all’interno di un contesto di squilibrio di potere permanente o momentaneo.
Si adopera, invece, il termine violenza di genere per denotare:
<<ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o una sofferenza della donna compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o arbitraria coercizione della libertà sia nella vita pubblica che in quella privata>>.
Inoltre durante la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le donne veniva affermato che:
<<la violenza contro le donne è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, ed ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne |…|>>.
Queste definizioni di violenza di genere presentano in modo chiaro la violenza nella sua dimensione di rapporto di forza tra i sessi, partendo dalla constatazione che la violenza contro le donne è uno dei principali meccanismi sociali tramite i quali le stesse donne vengono costrette ad assumere una posizione subordinata rispetto agli uomini.
Si ritrovano le seguenti forme di violenza:
violenza fisica: consiste in ogni forma di intimidazione o abuso che comporti l’uso della forza fisica su un’altra persona. In tale categoria possono ricomprendersi comportamenti quali: spintonare, tirare i capelli, dare schiaffi, dare pugni, calci, strangolare, ustionare, privare del sonno o delle cure mediche;
violenza psicologica: è una forma di violenza subdola e insidiosa poiché viene spesso attuata all’interno della comunicazione e attraverso le distorsioni della comunicazione e attraverso le distorsioni della comunicazione stessa. In particolare, si caratterizza per una serie di comportamenti (minacce, insulti, umiliazioni) posti in essere dal soggetto maltrattante volti a minare l’identità della vittima, a svuotare la stessa ponendola in una condizione di inferiorità;
violenza sessuale: si caratterizza per ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate;
violenza economica: si può definire come ogni forma di privazione e controllo che limiti l’indipendenza economica di una persona come, a titolo esemplificativo, sottrarre a una donna lo stipendio, obbligarla a lasciare il lavoro o impedirle di trovare uno, costringerla a firmare documenti o a contrarre debiti, impedirle qualsiasi decisione in merito alla gestione della casa e della vita familiare.
La violenza sulle donne, ogni anno, riguarda un numero incredibile di relazioni e di vite. Le ultime statistiche rese disponibili dall’Istat sono a tal proposito piuttosto eloquenti e affermano che in Italia il 14% della popolazione femminile, quindi quasi tre milioni di donne, ha subito violenze da parte del proprio marito o compagno all’interno delle proprie mura domestiche. Peraltro, si tratta di numeri che fanno riferimento solo ai casi realmente denunciati, e non considerano tutte le altre situazioni che, invece, sono state tenute nascoste e che si presume siano ancora maggiori in termini di numeri.
Secondo l’Istat, il 31,5% delle donne tra i sedici e i settanta anni (6.788.000 donne) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: di queste il 20,2% (4.353.000) ha subito violenza fisica, il 21% (4.520.000) violenza sessuale, il 5,4% (1.157.000) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652.000) e il tentato stupro (746.000). In molti casi le violenze sono state perpetrate da partner o ex partner, mentre il 24,7% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner (estranei o conoscenti). Le donne straniere subiscono violenza in egual misura a quelle subite dalle italiane: le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze, soprattutto da parte di uomini interni al nucleo familiare.
Più in particolare,
le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti
che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici.
Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti).
Le donne straniere hanno subìto violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane nel corso della vita (31,3% e 31,5%). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze.
Le donne straniere, contrariamente alle italiane, subiscono soprattutto violenze (fisiche o sessuali) da partner o ex partner (20,4% contro 12,9%) e meno da altri uomini (18,2% contro 25,3%). Le donne straniere che hanno subìto violenze da un ex partner sono il 27,9%, ma per il 46,6% di queste, la relazione è finita prima dell’arrivo in Italia.
La conseguenza di una siffatta situazione per la donna è sicuramente molto provante da un punto di vista emotivo, al punto che la violenza domestica (o di genere) è considerata come la quarta causa, in termini di numeri, dei tentativi di suicidio da parte delle donne, nonché la causa principale dell’abuso di sostanze per quanto concerne le donne adulte. Non stiamo parlando, come già anticipato, di violenza soltanto in termini fisici, ma anche e soprattutto di violenza intesa in termini psicologici, dove l’umiliazione, lo stalking, le aggressioni, le pressioni anche sessuali producono a volte cicatrici più profonde rispetto a una violenza fisica.
Ecco i casi che l’Istat ha rilevato nel 2014, intervistando cento donne relativamente al partner attuale.
- si arrabbia se lei parla con un altro uomo (il 10,9% ha risposto “qualche volta”), oppure la umilia o la offende di fronte ad altre persone;
- la critica per il suo aspetto, per come si veste o si pettina, o per come si occupa della casa;
- la ignora, non le parla, non la ascolta (“qualche volta” per il 7,8% “sempre o spesso” per l’1,1%);
- la insulta o la prende a male parole in un modo che la fa stare male ( “qualche volta” per il 4,5% delle donne);
- cerca di limitare i suoi rapporti con la sua famiglia o i suoi amici (il 2,8% ha risposto sì) o le impedisce o cerca di impedirle di lavorare;
- le impedisce o cerca di impedirle di studiare o di fare altre attività che la portano fuori casa o le impedisce di uscire;
- le impone come vestirsi, pettinarsi o comportarsi in pubblico ed è costantemente dubbioso della sua fedeltà (evento segnalato dal 2,2% delle intervistate);
- la segue o controlla i suoi spostamenti in un modo che la spaventa;
- le impedisce di conoscere l’ammontare del reddito, gestire il suo denaro e quello della famiglia (1,2%), di utilizzare il bancomat;
- le ha tolto i documenti (per le donne straniere);
- danneggia o distrugge le sue cose, oppure lancia e/o rompe oggetti allo scopo di spaventarla;
- minaccia di portarle via i figli o di far loro del male;
- fa del male o minaccia di farlo a persone a lei vicine o ai suoi animali;
- minaccia di uccidersi.
Di riflesso alla violenza che viene attuata nei confronti del genere femminile, a risentirne sono pure i bambini, laddove presenti, in quanto la maggior parte delle donne che subisce violenza ha già avuto un figlio. Dati Istat recenti affermano che più del 60% dei figli assiste a scene di violenza domestica, con ovvie conseguenze negative circa la propria stabilità emotiva, il rendimento scolastico e la salute dei bambini.
La violenza di genere e domestica può annientare il senso di sicurezza di una donna e la fiducia in se stessa. Per lei non c’è più possibilità di sentirsi bene e di controllare la situazione. Questi sentimenti vengono rafforzati dall’atteggiamento del partner violento che continua a ripeterle che se lei fosse una madre, una cuoca e un’amante migliore, se fosse più bella e più sexy, lui non l’avrebbe mai picchiata.
4.2 L’uomo violento
La questione della violenza domestica appare molto complessa, perché spesso gli uomini maltrattanti e violenti non lo sono né sembrano esserlo agli occhi esterni. Gli uomini violenti hanno generalmente buone qualità, sono gentili, simpatici e dotati del senso dell’umorismo, in particolar modo durante i primi tempi della relazione. Godono inoltre di stima da parte di amici e conoscenti. L’uomo violento, in parole povere, non corrisponde sempre allo stereotipo della persona violenta, anzi, tutt’altro. E questo nonostante spesso i sintomi delle umiliazioni e delle violenze perseguite nei confronti delle donne siano molto evidenti nel corpo e nell’animo di chi ha subìto la violenza.
Ciò che invece è evidente in un uomo violento sono i suoi sbalzi d’umore, che causano un cambiamento repentino nella personalità dall’oggi al domani. A volte è aggressivo e minaccioso, altre volte affettuoso e ferito. Sembrano essere presenti all’interno dell’uomo violento due personalità diverse che non hanno nulla a che vedere le une con le altre. E questa incoerenza nel comportamento si riflette nella donna che subisce la violenza, che da un lato non riesce a giudicarlo come cattivo, perché invischiata in un rapporto sentimentale, dall’altro però riconosce tutte le violenze che subisce, perché provate sul proprio corpo.
Bancroft elenca cinque misteri che riguardano gli uomini che perpetuano violenze domestiche nei confronti delle donne.
Il primo riguarda il fatto che la versione di un uomo su un evento accaduto all’interno delle mura domestiche è generalmente sempre diversa rispetto a quello della donna. Capita di frequente che ognuno affermi che il problema è dell’altro, e non proprio.
Il secondo mistero inspiegabile, che conferma la contraddizione che si presenta sia nell’uomo e che si riflette nella donna, è l’affermazione da parte di quest’ultima che l’uomo è molto geloso (motivo scatenante in genere delle violenze), ma per il resto è una persona razionale.
Il terzo mistero, invece, è relativo al fatto che l’uomo violento riesce sempre a portare le persone dalla sua parte e contro la donna, in quanto probabilmente dotato di una capacità manipolatoria ben più forte di quello della vittima. In alcuni casi, inoltre, non è chiaro, ed è questo il quarto mistero, come il partner violento riesca a capovolgere il proprio comportamento, dall’essere totalmente razionale al comportarsi in alcuni casi in maniera assolutamente incontrollata.
Infine, l’ultimo mistero riguarda il fatto che l’uomo violento, dopo l’ennesimo maltrattamento, sembra sempre che stia cambiando, ma in realtà il cambiamento non dura mai a lungo, nonostante riconosca la propria responsabilità per le violenze perpetrate nei confronti della propria partner.
4.2.1 Caratteristiche personologiche dell’uomo violento
Nell’uomo abusante si possono riconoscere determinate caratteristiche di tipo personologico. Egli, come detto, è un abile manipolatore, capace di distrarre l’attenzione dal suo comportamento violento verso la parte più sana che gli appartiene. In questo modo, più o meno consapevolmente, riesce a togliere alla donna ogni punto di riferimento, al punto da non permetterle nemmeno di progredire con una denuncia laddove si dovesse presentare un qualsiasi tipo di violenza.
Per riuscire a scavare dentro la mentalità dell’uomo violento, tuttavia, è opportuno, secondo Bancroft, sfatare in primo luogo i miti che lo circondano, e di cui spesso lui si serve per cercare di giustificare il proprio comportamento e le violenze perpetuate nei confronti della donna.
Il primo mito da sfatare è il fatto che, secondo molti, un uomo violento è sempre stato abusato da piccolo e ha bisogno di una terapia per fuoriuscire dal tunnel della violenza. Se è certamente vero che una persona che ha subìto abusi da piccolo è più probabile che sia portato a perpetrare violenze, ciò però non è sempre vero. Qualora il problema fosse di tipo emotivo, potrebbe essere trattato con una buona psicoterapia, cosa che però non avviene nella maggior parte dei casi e, anche qualora avvenga, non produce quasi mai i risultati attesi. Ciò vuol dire che molti degli uomini violenti si approfittano, semplicemente, del dare la colpa all’infanzia per focalizzare su di sé tutto il male che ha fatto loro, ad esempio, la propria madre, riuscendo in questo modo a giustificare, in un certo senso, il comportamento violento perpetrato nei confronti della madre. L’unica eccezione riguarda quegli uomini violenti che possono avere avuto effettivamente più esperienze di abuso durante l’infanzia e che vanno concretamente aiutati per elaborare il trauma subìto.
In linea di principio:
<<a lui interessa portare l’attenzione degli altri sulla sua infanzia traumatizzante solo se funziona come giustificazione per il suo comportamento, non certo nel momento in cui diventa una ragione in più per cambiare>>.
Il secondo mito da sfatare è relativo al fatto che un uomo violento ha sempre, nel suo passato, una partner che lo ha maltrattato terribilmente, per cui ora ha un rapporto problematico con le donne.
Questa storia può avere un forte impatto sulla partner attuale che può portare quest’ultima a una sorta di pietismo nei suoi confronti, al punto da giustificare qualsiasi sua modalità violenta. Che lui si presenti come vittima di un’ex partner o dei genitori, il suo scopo è spesso quello di far leva sulla compassione della propria compagna per evitare di affrontare il problema.
Altro mito da sfatare è il fatto di giustificare il maltrattamento o la violenza, in virtù di un fortissimo sentimento provato nei confronti della donna. L’uomo violento, in definitiva, desidera comunicare agli altri il concetto, alquanto assurdo, che i sentimenti provocano violenza, definizione che già di per sé sconfessa se stessa.
Bancroft cita poi molti altri esempi che giustificano, da parte delle donne, il comportamento dell’uomo violento, proprio perché soggiogate da quest’ultimo, come: lui si tiene tutto dentro, fino al momento in cui esplode; ha una personalità violenta e impetuosa: deve solo imparare a essere meno aggressivo; perde il controllo di sé e va fuori di testa; è troppo arrabbiato, deve solo imparare a gestire la rabbia; è pazzo, ha una malattia mentale e deve farsi curare; odia le donne, sua madre o qualche altra donna devono avergli fatto qualcosa di terribile; ha paura dell’intimità e non riesce ad abbandonarsi ai sentimenti; soffre di scarsa autostima, ha bisogno di migliorare l’immagine di sé; è vittima di mobbing sul lavoro e si sfoga con la famiglia perché è il luogo in cui si sente più forte, ha solo difficoltà di comunicazione, e deve esercitarsi nella gestione dei conflitti e dello stress; gli abusanti non sono solo uomini, ma dei maschi abusati: non si sa perché, ma si vergognano sempre a parlarne; il maltrattamento è altrettanto terribile per l’uomo che lo esercita come per la donna che lo subisce; <<mi maltratta perché ha subìto discriminazioni sociali e umiliazioni, e a casa sente il bisogno di rivalersi>>; <<è l’alcol a renderlo violento: se smetterà di bere la nostra relazione tornerà normale>>.
Bisogna cercare di capire, al di là delle specifiche scusanti, o miti, che addossiamo alla condotta violenta dell’uomo, che un uomo abusante tende a non fare mai nulla che consideri moralmente inaccettabile. Dentro di sé, ovvero, si sente sempre giustificato a compiere quella determinata azione, nonostante la maggior parte delle persone disapproverebbero quel suo stesso comportamento. Come afferma Bancroft, pertanto, il problema centrale di un uomo abusante è che ha un senso distorto di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Questi miti come (come li chiama la Bancroft) che abbiamo appena elencato, riflettono una precisa mentalità dell’uomo violento che si può rintracciare in determinate aree di vita quotidiana e che vengono nettamente percepite da chi con quell’uomo ci ha a che fare.
Una prima caratteristica è senza dubbio la sua capacità di controllare l’altra persona. Il controllo si manifesta in varie forme. Alcuni manifestano il controllo su determinate aree, altri praticamente su tutto. Un primo campo in cui si manifesta il controllo è quello delle discussioni e delle decisioni. In un rapporto di coppia è normale dover prendere continuamente decisioni, anche su aspetti semplici e relativi all’ordine della casa o alla scelta di cosa fare la domenica o degli amici con cui uscire. L’uomo violento sa sempre cosa bisogna fare, nonché ciò che vuole ottenere dal rapporto, per cui si sente in diritto di decidere, al posto della donna, proprio perché sa che cosa è giusto fare. L’abusante si dà ovvero il permesso di agire sulla base delle sue stesse convinzioni, le stesse che guidano le sue azioni e portano a un comportamento prevaricante.
Il controllo si scatena anche sulla libertà personale della donna (si sente in diritto di controllare la partner in ogni cosa, come chi frequenta e a che ora deve rientrare, ritenendo la sua libertà meritevole solo se espressamente concessa da lui) e sull’educazione dei figli. Riguardo quest’ultimo punto, l’uomo violento si considera l’autorità principale dal punto di vista educativo, al di là che si prenda realmente cura dei propri figli o meno. Si sente superiore a qualsiasi atteggiamento posto in essere dalla donna, e sotto qualsiasi punto di vista.
Il controllo si traduce molto spesso in manipolazione, il cui intento è quello di mandare in confusione la donna circa il proprio ruolo.
Per fare questo, l’uomo violento cambia spesso e bruscamente umore, nega le evidenze, cerca di convincere che quel che lui vuole, lo desidera per il bene della partner, dà agli altri la colpa di ciò che fa. La manipolazione è la produzione di un’idea confusa e di qualcosa che non va, che può addirittura far arrivare la donna a pensare di sé stessa di essere pazza e che tutto è colpa sua e non del suo partner violento. La manipolazione, molto spesso, lascia per questo lo spazio alla possessione, ben più pericolosa, ma che appare una naturale conseguenza del controllo prima, e della stessa manipolazione poi.
Fuoriuscendo dal campo del controllo, ed entrando in un’altra logica mentale che però dipende direttamente da esso, l’uomo violento si sente sempre in diritto di fare quello che fa, indipendentemente dal modo in cui lo sta facendo.
E’ come se avesse e sentisse di avere dei diritti esclusivi e privilegi che la sua partner non ha, riducendo quest’ultima a un ruolo di secondo piano. L’uomo violento assume cioè un ruolo di primo piano in qualsiasi cosa riguardi la donna, i figli e l’intera famiglia, nello scegliere ad esempio le cure domestiche da seguire, le cure emotive, l’appagamento sessuale e ad essere esente da qualsiasi responsabilità. La donna non ha nemmeno il diritto di potersi arrabbiare con lui, perché lui priva la donna pure di questo diritto.
<<Una volta compresa la logica del sentirsi in diritto, diventa chiaro anche il concetto seguente: lui non è abusante perché è arrabbiato; è arrabbiato perché è abusante. Le prese eccessive e ingiuste dell’uomo abusante fanno sì che la sua partner non riesca mai a seguire tutte le sue regole e a soddisfare tutte le sue richieste. Il risultato è che spesso lui si infuria. Sono dunque le pretese, non la sua gestione delle emozioni, a dover essere modificate>>.
Altra caratteristica dell’uomo violento è il fatto che ribalta sempre le cose. Nella sua logica del sentirsi in diritto di fare qualsiasi cosa, porta a confondere mentalmente aggressione e difesa, arrivando persino a dire che è la donna la parte violenta della coppia.
E’ anche per questo che, nel rapporto con la propria compagna, l’uomo non ha alcun rispetto per la partner e si considera superiore a lei.
Gli uomini violenti, infatti, tendono a considerare la donna meno intelligente, competente, competente, razionale e perfino meno sensibile di sé.
Questa tendenza mentale viene definita oggettivazione o spersonalizzazione e lo porta ad aggredire la donna in modi anche degradanti e disgustosi, contornando il tutto con epiteti negativi. Spersonalizzando la donna e definendola a volte come un animale, l’uomo violento si protegge dal senso di colpa e dall’empatia che in teoria si dovrebbero provare verso un altro essere umano, rimanendo, illusoriamente, in pace con la propria coscienza. I muri emotivi che erge crescono con il tempo, fino a quando non prova più alcun rimorso per aver umiliato e minacciato la partner.
L’assunto principale del comportamento di un uomo violento, pertanto, è la prevaricazione che, come anticipato, porta all’esasperazione del mito secondo cui lui maltratta la propria compagna perché è una prova di quanto lui tenga a lei. La confusione tra amore e prevaricazione fa dire agli uomini che uccidono le partner di essere stati spinti dalla corrente dei sentimenti, quando invece amore significa rispetto dell’altro, desiderio del meglio e sostegno alla sua autostima e alla sua indipendenza. L’amore è per definizione incompatibile con la violenza e la coercizione.
Altre caratteristiche della personalità di un uomo violento sono il fatto di sentirsi giustificato in ogni cosa che fa, di essere molto attento alla propria immagine pubblica e di negare continuamente l’abuso, o sminuirlo. Il tutto in funzione di salvaguardare il proprio senso di colpa e la propria responsabilità agli occhi propri e degli altri.
4.2.2 Le tipologie di uomo violento
La violenza, traendo origine dal modo in cui l’uomo vede la donna, ha delle costanti che si riscontrano in tutti gli uomini maltrattanti, come l’attacco all’autostima della donna, i comportamenti di controllo, la limitazione della sua libertà e la mancanza di rispetto.
Le caratteristiche elencate nel paragrafo precedente appartengono a tutti gli uomini che perpetrano violenze nei confronti della donna, ma naturalmente ogni uomo caratterizzato da vari livelli di tali fattori che ne dirimono una diversa tipologia. Possiamo avere, infatti, uomini violenti in cui è più presente una determinata caratteristica che, in altri, invece, è meno presente. E’ da questo che se ne deriverà l’intera e specifica personalità di ogni uomo violento.
L’uomo violento pretenzioso è quell’uomo, ad esempio, che pretende e pensa che tutto gli sia dovuto. Si aspetta che la vita della partner ruoti intorno ai suoi bisogni e si arrabbia se questo non accade. Si infuria, ad esempio, se non viene servito o se viene anche solo minimamente disturbato, con la conseguenza che la donna ha la sensazione di non fare mai bene ciò che fa per il proprio compagno.
Questo tipo di personalità non ha il senso del dare e avere. Le sue richieste di supporto emotivo, favori, servigi o attenzioni sessuali sono sproporzionate rispetto a ciò che lui dà in cambio. Esagera, inoltre, e sopravvaluta il proprio contributo, giudicando se stesso molto più generoso e buono di quanto effettivamente lo sia stato, al contrario di quanto fa, invece, nei confronti della propria partner.
Quando non ottiene quello che pensa gli sia dovuto, peraltro, punisce la donna. Se è generoso è perché in quel momento ne ha voglia, se non è in vena di farlo, non lo fa.
Bancroft elenca le idee fondamentali dell’uomo che pretende:
۷ << Il tuo compito è occuparti di me, compreso assumerti il carico delle mie
responsabilità se io non me ne occupo. Se sono insoddisfatto di un qualunque
aspetto della mia vita, la colpa è tua>>;
۷ << Tu da me non devi pretendere nulla. Dovresti essermi grata se decido di dare un contributo>>;
۷ <<Sono al di sopra di qualunque critica>>;
۷ <<Io sono un partner gentile e amorevole. Sei fortunata a stare con me>>.
Altro tipo di uomo violento è quello che Bancroft chiama “Il signor so tutto io”, ovvero quell’uomo che si considera l’autorità in qualunque settore, parla con assoluta sicurezza, non accetta repliche né opinioni, si sente il maestro di una scuola che è il mondo. Il suo metodo di funzionamento è in primo luogo l’arroganza, che con il suo tono autorevole può portare la partner a dubitare persino del proprio giudizio e a considerarsi non proprio brillante. In poche parole, questo tipo di uomo violento desidera che la donna dubiti della propria intelligenza per poterla controllare meglio, in quanto sa tutto anche della vita della propria compagna e di come dovrebbe viverla.
Le idee fondamentali dell’uomo che sa tutto, per Bancroft sono le seguenti:
Dovresti>> ۷ avere un timore reverenziale della mia intelligenza e ammirarmi intellettualmente. So meglio di te, anche quel che è meglio per te>>;
۷ <<Le tue opinioni non sono degne di essere ascoltate o prese seriamente in considerazione>>;
۷ <<Il fatto che talvolta tu non sia d’accordo con me dimostra quanto ragioni male>>;
۷ <<Se tu ti rendessi conto del fatto che io so sempre cosa è giusto, il nostro rapporto andrebbe molto meglio. Anche la tua vita migliorerebbe>>;
۷ << Se mi dai torto, per quanto rispettosamente e umilmente, sei crudele nei miei confronti>>.
Esiste poi quel tipo di uomo violento che aggredisce la partner psicologicamente, senza nemmeno alzare la voce. Durante le liti mantiene la calma e la usa come arma per esasperare la vittima, attraverso tattiche come il sarcasmo, la derisione. L’impatto di questo modo di comportarsi sulla donna è che quest’ultima o esplode in accessi d’ira o finisce per sentirsi stupida o inferiore, o addirittura una combinazione tra le due cose. Nel caso in cui la donna finisca per urlare, l’uomo sarà pronto a incolparla per essere lei la persona violenta della coppia. Gli effetti psicologici del vivere con una persona di questo tipo, pertanto, possono essere per la donna piuttosto gravi e debilitanti.
Le idee fondamentali sono :
۷ <<Tu sei una pazza. Perdi le staffe per niente>>;
۷ <<Non ho problemi a convincere gli altri che sei tu quella che non c’è con la
testa>>;
۷ <<Finchè io resto calmo, non potrai mai dire che quello che faccio, per quanto
Crudele, sia violenza>>;
۷ <<So esattamente come farti saltare i nervi>>.
Diverso è invece il comportamento di quell’uomo che porta all’estremo il controllo e lo utilizza come ragione di vita, decidendo tutto della vita del partner. Nel far questo, ad esempio, critica il suo abbigliamento, stabilisce se e con chi può uscire, interferisce nel suo lavoro e fa in modo che la propria partner non abbia alcuna relazione significativa oltre la propria. In questo modo finisce per isolarla da amici e parenti, delle volte impedendole perfino di vederli. Nel fare questo, se presenti, coinvolge pure i figli, che sono obbligati a dirgli cosa fa la madre quando lui non c’è.
Questo tipo di persona diventa facilmente violenta da un punto di vista fisico, quando alle minacce fanno seguito soltanto aggressioni vere e proprie. Se la partner si ribella, cercando di difendere la propria libertà, la sua violenza aumenta finchè lei non si sente abbastanza terrorizzata o ferita da sottomettersi al suo controllo.
E’ questo tipo di uomo che rischia più di altri di ferire la propria compagna in maniera anche piuttosto grave, rispetto ad altri. Per tale motivo, se il partner di una donna rientra all’interno di queste tipologie di persone, è giusto che si senta in pericolo e corra subito ai ripari.
Le idee fondamentali sono :
۷ <<Devo controllare tutto ciò che fai, perché tu non sei in grado di decidere>>;
۷ <<So esattamente quel che va fatto>>;
۷ <<Non devi avere nessun altro e nient’altro nella vita al di fuori di me>>;
۷ <<Ti controllerò come un avvoltoio per impedirti di sviluppare forza e
Indipendenza>>;
۷ <<Ti amo più di chiunque altro al mondo, ma provo disgusto per te>>.
Il controllo viene portato all’estremo da quell’uomo violento che è estremamente esigente e al tempo stesso esercita una forte manipolazione nei confronti della propria donna. Il suo lato peggiore, tuttavia, è che ricorda frequentemente alla partner che potrebbe massacrarla o anche ucciderla, senza nemmeno picchiarla. Sono uomini estremamente pericolosi, in quanto minacciano continuamente la donna con strane affermazioni velate e comportamenti bizzarri. E’ in fin dei conti un sadico, in quanto trae piacere dal procurare dolore e paura, e la crudeltà lo eccita.
Questo comportamento è altamente traumatico per la donna e può lasciare in lei un’incredibile traccia per tutta la vita. Dopo una relazione di questo tipo può essere molto difficile trovare la lucidità per elaborare una strategia di fuga. E’ fondamentale che gli amici, i parenti, i tribunali, la comunità comprendano la realtà di questi rischi e diano alla donna il maggior supporto e la maggior protezione possibile, e contemporaneamente mettano l’uomo violento di fronte alle sue responsabilità.
Le idee fondamentali in questo caso sono:
۷ <<Le donne sono state create per fare sesso con gli uomini>>;
۷ <<Le donne che vogliono fare sesso sono troppo disinibite.
Le donne che rifiutano il sesso sono troppo rigide>>.
۷ <<Non è colpa mia se le donne mi trovano irresistibile>>;
۷ <<Se ti comporti come una che ha bisogno di qualcosa da me, io ti ignoro; mantengo questo rapporto se mi conviene e se ne ho voglia>>
۷ <<Le donne che vogliono essere apprezzate per gli aspetti non sessuali della loro persona sono puttane>>;
۷ <<Se tu fossi in grado di appagare i miei desideri sessuali, io non avrei bisogno di andare con altre donne>>.
Poi c’è l’uomo violento che è aggressivo con tutti, non solo con la partner, in quanto l’idea di intimorire la gente lo eccita, e cerca di affrontare tutte le situazioni della vita seminando apertamente o sottilmente il terrore attorno a sé. Ha una visione stereotipata degli uomini e delle donne, avendo avuto il più delle volte un’infanzia difficile e non di rado problemi con la giustizia. Fa finta di non aver paura di niente, e quindi risulta particolarmente attraente a donne che provengono da famiglie violente o anche a donne che stanno uscendo da una relazione violenta. La prima sensazione che ha la donna è che con una persona di questo calibro nulla di male le accadrà, ma molto spesso non avrà alcun rispetto verso le donne e tutto ciò finirà in violenza, al punto che la donna si dovrà difendere proprio dall’uomo che credeva potesse proteggerla.
Le idee fondamentali sono :
۷ <<La forza e l’aggressività sono giuste. La compassione e la gestione pacifica del conflitto, no>>;
۷ <<Qualunque cosa abbia anche lontanamente a che vedere con l’omosessualità, compreso il rifiutare la violenza o mostrarsi spaventati, va evitato a ogni costo>>;
۷ <<Le femmine sono esseri inferiori. Esistono per servire gli uomini ed essere protette da loro>>;
۷ <<Un uomo non dovrebbe mai picchiare una donna, ma si possono fare eccezioni con la propria partner se si comporta male. Gli uomini devono saper tenere a bada le loro donne>>;
۷ <<Tu sei una cosa che mi appartiene, un trofeo>>.
C’è poi l’uomo violento che si sente vittima, in quanto la vita è stata dura e ingiusta con lui. Si sente sempre sottovalutato, tradito dalle persone di cui si fidava, le sue migliori intenzioni vengono sempre fraintese. Fa leva sulla compassione della donna e sul suo desiderio di poter essere quella che fa la differenza nella sua vita, raccontandole spesso storie convincenti di quanto abbia sofferto nella propria esistenza. Riesce in questo modo a manipolare la partner, essendo molto egocentrico e utilizzando il linguaggio tipo delle persone che sono state violentate. E’ manipolatore anche nei confronti dei bambini,se presenti. Le idee fondamentali sono: ۷ <<Tutti mi hanno sempre fatto del male, specialmente le donne con cui sono stato>>;
۷ <<Se mi accusi di maltrattarti, non fai altro che aggiungerti alla schiera delle persone che sono state crudeli e ingiuste con me>>;
۷ <<E’ normale che io faccia a te tutto quello che sento che tu hai fatto a me, anche se rincaro un pò la dose per essere certo che tu capisca il messaggio>>;
۷ <<Le donne che denunciano i loro compagni per abusi e maltrattamenti lo fanno perché odiano gli uomini>>;
۷ <<Ho avuto una vita talmente difficile che non sono responsabile delle mie azioni>>.
Infine abbiamo l’uomo violento che è malato o tossicodipendente, eventualità che può convivere anche con le altre fattispecie di persone violente sopra presentate.
E’ necessario però chiarire che la malattia mentale o le dipendenze non sono mai la
causa del maltrattamento di un uomo sulla donna, ma possono sicuramente aggravare il problema o diminuire le probabilità che l’uomo cambi. Lo stesso vale per l’abuso di sostanze. Infatti, come sostiene Bencroft, il ruolo che l’alcol, gli stupefacenti o altre dipendenze hanno nel problema della violenza domestica è sempre stato fortemente frainteso.
Egli afferma che la maggioranza degli uomini maltrattanti non ha nessun tipo di dipendenza e che coloro che fanno abuso di qualche sostanza maltrattano le proprie donne anche quando non sono sotto l’effetto di alcol e/o droghe. Alcuni di questi uomini riescono peraltro a uscire dalle loro dipendenze, ma nonostante questo continuano a maltrattare le loro donne, anche se a volte sospendono per un breve tempo i loro comportamenti peggiori. Per di più, gli uomini che sono fisicamente violenti qualche volta si astengono dal picchiare quando sono sobri, ma l’abuso psicologico continua e in alcuni casi peggiora.
Di conseguenza, se è pur vero che le aggressioni peggiori avvengono quando un uomo ha bevuto, occorre ribadire che le dipendenze non sono mai la causa diretta della violenza domestica e guarire dalla dipendenza non vuol dire “guarire” anche dal problema della violenza. Si può comunque sostenere che l’alcol e altre dipendenze possono peggiorare la crudeltà o l’instabilità di un uomo in quanto un uomo maltrattante ubriaco e/o drogato può rendere la vita della propria compagna ancora più orribile di quanto faccia già da sobrio.
In questo caso, le idee prevalenti del malato mentale e del tossicodipendente sono :
۷ << Non sono responsabile delle mie azioni per via della malattia mentale e della droga/alcol;
۷ <<Se mi chiedi di affrontare il problema del maltrattamento sei ingiusta con me, visti tutti i problemi che ho già. Significa anche che non mi capisci>>;
۷ <<Io non sono un uomo violento, sono solo un alcolista>>;
۷ <<Se pretendi che io cambi, io ricadrò nella dipendenza, o la mia malattia peggiorerà e tu ne sarai responsabile>>.
Così come non esiste un solo tipo di uomo violento, non esiste una sola tipologia di donna maltrattata. Soffrire e subire la violenza è un’esperienza traumatica che genera effetti diversi a seconda delle donne che ne sono vittima. Ciascuna persona, infatti, reagisce a essa in modo diverso, seppur tutte soffrano della situazione di isolamento e disinteresse sociale che di continuo attornia questo fenomeno.
Comprenderne le conseguenze può aiutare a conoscere perché una donna si comporta o reagisce in un certo modo. Passività, debolezza, incapacità di prendere decisioni sono fra gli effetti più frequenti della violenza. Altre volte l’assunzione di alcol o droghe, la minimizzazione o la negazione del problema possono essere strategie che le donne adottano per cercare di sopravvivere alla sofferenza e al dolore di una vita personale e familiare distrutta.
L’effetto di tutto questo sulla donna è un desiderio disperato che la violenza fisica. Forse vuole lasciare la casa. Forse vuole ancora salvare la relazione con il partner. La sua autostima è molto bassa, si sente piena di dubbi e colpevole. Ha paura che nessuno le creda, non sa che cosa può fare e dove andare. Ha paura che nessuno le creda, non sa che cosa può fare e dove andare. Ha paura che le reazioni violente del partner diventino ancora più forti.
Le possibilità di evitare un’escalation violenta dipendono molto dalle risposte che una donna incontra nel momento in cui decide di chiedere aiuto all’esterno, spesso dopo aver fatto il possibile e l’impossibile per cercare di risolvere la situazione da sola. In generale, le donne che subiscono violenza domestica, rispetto a quelle che non si trovano in questa situazione, hanno condizioni di salute fisica e mentali peggiori, richiedono trattamenti di carattere sanitario in misura 4-5 volte più frequente; sono 4-5 volte più soggette al rischio di suicidio. E’ per questo che è importante individuare per tempo quei segnali che possano far presagire l’inizio di un’escalation di violenze, prima che sia troppo tardi.